Generazione digitale: il grande equivoco

03.09.2020

Chi di voi ha figli adolescenti o quasi adolescenti di sicuro avrà notato la loro dimestichezza nell'uso di smartphone e tablet.

Scaricano app, le utilizzano senza la minima difficoltà, postano contenuti multimediali di varia natura, modificano sicuri le impostazioni dei dispositivi, giocano a videogames con una destrezza che ci lascia basiti. Ma sono queste le competenze digitali che ci si aspetta da una generazione di nativi della rete, alimentata a bit e pixel più che a latte e biscotti?

Bastano queste abilità per affrontare un futuro esigente che più che fruitori di tecnologia cerca innovatori tecnologici? L'espressione 'nativi digitali' serve ad etichettare generazioni che hanno costituito il customer target delle grandi multinazionali produttrici di dispositivi, software e servizi on line ma non abbona alla stessa generazione competenze digitali che il mero pur se intensivo utilizzo di dispositivi smart e mobile non garantisce.

Ed è così che capita al più volenteroso dei docenti di informatica di fare uno sforzo titanico per insegnare ai ragazzi di un triennio delle scuole superiori come programmare un semplice algoritmo di calcolo o impostare il protocollo di routing per un instradamento dinamico su una rete di medie dimensioni.

Ma perché tutto questo sforzo di fronte a una platea discente che con uno smartphone tra le mani sembra fare faville? Essere competente digitalmente significa essere dotato del cosiddetto 'pensiero computazionale ' che consente non la mera fruizione della tecnologia ma la sua creazione.

E senza la conoscenza puntuale e impegnata dei sistemi operativi e delle architetture dei sistemi di calcolo il miracolo non potrà avvenire. La vera sfida per il futuro non è formare ottimi video gamer o esperti fruitori di app e social ma formare programmatori e ingegneri in grado di pensare nuovi strumenti informatici e tecnologici che rendano migliori le nostre vite.

E allora accanto al telefonino sempre in tasca e al tablet sul comodino preoccupiamoci che le scrivanie dei nostri figli abbiamo un personal computer. Stimoliamoli al suo utilizzo e spingiamoli a chiedersi il perché del funzionamento della tecnologia che utilizzano.

Quanto alla scuola italiana l'allineamento alle tendenze europee è lento ma è iniziato. I corsi di coding e robotica mirano a sopperire al gap tra l'utilizzo e la competenza stimolando nei ragazzi la curiosità di creare nuovi strumenti per l'automazione applicata alle scienze e alle tecniche. E ben venga la didattica digitale se vista come volano per un approccio sistematico e proattivo al processo di apprendimento.

Serviranno studi di logica, algebra, matematica e fisica preliminari a discipline come l'informatica e l'automatica per rendere i fruitori tecnologici dell'oggi gli innovatori tecnologici del domani. Occorreranno ore e ore di studio per comprendere algoritmi e pattern di sviluppo.

Di certo non sarà come postare un foto su un social o sfidarsi con gli amici all'ultima battle on line. Ma si sa ... come tutte le competenze anche quelle digitali richiedono un processo di apprendimento fatto di impegno, curiosità e fatica. Un impegno che spaventa ma che se ben affrontato darà di certo i suoi frutti.

Maria Luisa Tozza