Deriva discriminatoria: la “memoria” sottaciuta dalla storia

27.01.2022

(Nando Silvestri) - Prendendo spunto dalle micidiali e barbariche campagne di odio innescate dalla stampa asservita ad istituzioni sempre più inette e luciferine ai danni di chi intende custodire la sovranità sul proprio corpo senza deroghe nè inoculazioni di sieri magici e miracolosi, è lecito citare i "fatti di Bromberg"(Polonia).

Inutile rammentare che la storia si ripete, non soltanto nelle teorie del filosofo napoletano Vico (corsi e ricorsi) e di Friedrich Nietzsche ("Eterno Ritorno"), ma anche nelle vessazioni degeneri indotte nei confronti delle minoranze, talvolta scomode e tignose, ieri come oggi. Se gennaio è il mese della "memoria", non può e non deve essere un tempo di memoria "corta", ossia circoscritta e blandita dalla strumentalizzazione.

Del resto la memoria è una feconda facoltà umana di enorme potenziale, come insegnava il grande pensatore nolano Giordano Bruno: sarebbe un peccato, oltre che una mortificazione intellettuale relegarne contenuti e profili a logiche di parte.

Ricordare che la persecuzione delle minoranze di tutte le tipologie ha ingenerato tragici genocidi e alimentato sanguinosi conflitti va oltre la stessa persecuzione degli Ebrei e induce a riflettere sui drammatici esiti che possono attivare le parcellizzazioni umane, specie quelle avallate dalle amministrazioni senza scrupoli.

Corre l'obbligo di formulare una "piccola" riflessione di natura storica ed economica sconosciuta ai più per ovvi motivi di lobotomizzazione culturale imposta da oligarchie vicine ai poteri forti (la realtà sdoganata dai libri di storia e dalle combriccole usuraie della pseudo democrazia "globale").

Senza entrare in futili e collose polemiche si vuole sottolineare che nella città polacca di Bromberg e in tutta la regione dei Sudeti, dal 1922 al 1938 diverse decine di migliaia di minoranze tedesche emigrate per motivi di lavoro furono barbaramente trucidate in nome della democrazia e della "sanità".

Donne violentate, bambini ai quali vennero cavati gli occhi, giovani torturati e uccisi con il placet di Francia ed Inghilterra denotano i veri volti dei paesi cosiddetti "civili".

Furono 58000 i tedeschi ammazzati in un solo anno. Una strage di innocenti, l'assurdo bilancio di una vera e propria ecatombe che inondò di sangue la storia del secolo scorso ancor prima della nascita dei ben noti campi di concentramento tedeschi.

Le minoranze tedesche vennero, infatti, prima sottomesse e obbligate a condizioni lavorative disumane, successivamente furono ghettizzate e deportate in villaggi di contenimento per motivi "igienici" e, infine, impalate.

Vittime di un silenzio assordante ed imbarazzante, quello dei libri di storia che nessuno osa violare. Persone benigne, lavoratori instancabili, vite strozzate nelle maglie infide dell'avidità umana, con l'unica colpa di appartenere ad una nazione che rifiutava ad origine la sottocultura dell'indebitamento bancario e quella di aver fronteggiato con stenti e sacrifici inenarrabili la Grande Depressione del 1929.

Mentre vennero condannate le successive aggressioni tedesche in Polonia, disperate ed estreme reazioni ai suindicati genocidi ai danni degli stessi tedeschi, vennero affrancate da qualunque responsabilità quelle russe nella stessa Polonia.

La Russia, sorniona si lasciava finanziare dalle banche americane per alimentare un processo di accumulazione della ricchezza afferente alle oligarchie militari leniniste e staliniane culminato nella confisca delle terre ai poveri contadini sovietici, costretti a loro volta al cannibalismo.

La storiografia e la cronaca, dunque, celano tutte le macabre insidie alimentate dalla deriva discriminatoria, narrando quotidianamente finzioni condivise e accomodanti a uso e consumo di chi le concretizza.

Ma occorre tenere presente che le fragorose "analogie" proposte dal tempo non sono affatto casuali: prima o poi, presentano un conto molto salato, comprensivo di interessi, lacrime e sangue. E non ci saranno sconti per nessuno.